- Ahi,
mi fai male!
- Davvero?
- Basta!
Ho detto che mi fai male!
- Ma
io non lo sento!
- Beh,
te lo sto dicendo!
- Se un albero cade in una foresta e
nessuno lo sente, fa rumore?
- Cosa?
Contrariamente
a quanto si pensa, il dilemma dell’albero non è una riflessione zen, bensì è
stato formulato da George Berkeley, un vescovo irlandese del '700. La filosofia di Berkeley negava la materia e, in particolare, il significato che ad essa attribuivano i filosofi contemporanei. Un vero reazionario, considerando che ci troviamo in pieno Illuminismo! Ma vogliate perdonarlo: era pur sempre un vescovo. Nella sua critica alla scienza, Berkeley sosteneva che gli oggetti esistono solo in quanto percepiti. Dunque, se un albero cade in una foresta e nessuno lo sente, non fa rumore.
Eppure,
io quel dolore provocato dallo stuzzicare le fossette ai lati del ginocchio lo sentivo.
Nessuno poteva né vedere, né sentire nulla – a parte le mie proteste! – , ma
quel lieve dolore, più simile a un fastidio, c’era eccome!
Forte
della mia formazione scientifica e forte dall’avere appena dato un esame che
aveva in programma il sistema uditivo, la mia risposta è stata chiara: è ovvio che fa rumore, perché la caduta
produce delle vibrazioni nell’aria che vengono trasdotte in suoni. Non ho
convinto il mio interlocutore e assetata di ragione, il giorno successivo ho
cercato su Google il quesito del contendere.
A
dare una spiegazione scientifica ci aveva già pensato la rivista Scientific American nel 1884, che
dimostrò razionalmente che l’albero che cade, in effetti, non fa rumore, poiché
è vero che la caduta produce le suddette vibrazioni dell’aria, ma solo con un
sistema uditivo, può assorbire le vibrazioni, attraverso l’orecchio, e
trasdurle in suoni, grazie al cervello.
Ciò
significa che il Mondo, come lo percepiamo, è solo il frutto di una nostra
personale interpretazione. Questa riflessione lì per lì può provocare un
drammatico crollo di molte certezze – o, perlomeno, questo è l’effetto che ha
sortito su di me! –, anche se è bene ricordare che il fatto che noi
interpretiamo tutto ciò che ci circonda non significa che l’albero, il fastidio
al ginocchio, le case e la tastiera del mio laptop non esistono.
Ogni
cosa è semplicemente ciò che è, ma è una nostra prerogativa interpretarla.
Sapendo ciò, tuttavia, possiamo lavorare sul come interpretarla.
Anche
se mi ci è voluto un certo impegno per ragionare su concetti così filosofici, dopo
averci riflettuto posso dire, onestamente, che tutta questa relatività mi
rilassa molto.
(foto: photo.vitaminproject.com)
una delle mie domande preferite, ma non riesco mai a ricordarne la speigazione
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