E’ successo una Domenica mattina.
Era una Domenica mattina come tante altre. Anzi, no: quella mattina c’era il
sole e le strade erano belle asciutte fatta eccezione per qualche pozzanghera
solitaria qua e là. La gente iniziava a scoprirsi, a scoprire le braccia e a
mangiare il gelato, anche se era solo Aprile. La prima Domenica di sole provoca
sempre questi effetti.
Di tutt’altro umore era una
ragazza che camminava veloce per la strada, con un sacchetto di carta stretto
in una mano e l’orologio su cui continuava a spostare lo sguardo sull’altra.
Aveva comprato un dolce al limone e uno al cioccolato al mercato. Aveva
divorato quello al cioccolato per strada, ma voleva custodire quello al limone
ancora per un po’, sapendo che erano l’unica cosa che poteva portarsi via da
lì. Qualcosa di aspro. Non era sola, anche se sembrava esserlo. Un ragazzo
camminava un passo avanti a lei giocherellando con le chiavi della macchina.
Non si dissero molto durante il
tragitto che li portava all’aeroporto. La musica riempiva il silenzio con
canzoni che la ragazza cercava di non ricordare, di non associare a quel
momento. Non succede quasi mai che ci sia la colonna sonora giusta per il
momento giusto.
“Lascia, ti porto io la valigia”
e poi un saluto veloce. A nessuno dei due piacevano gli addii e a quell’addio
entrambi davano un significato differente.
Mi ricordo bene quella ragazza:
la vidi per la prima volta in coda ai controlli per la sicurezza. Aveva un bel
maglione color crema e i capelli castani sciolti sulle spalle. Appariva
estremamente disinvolta, ma stringeva il manico del suo trolley come se avesse
il terrore che qualcuno glielo portasse via. Gli addetti alla sicurezza ebbero
qualche difficoltà a leggere il biglietto elettronico sul telefono della
ragazza e dopo qualche istruzione impartita in francese e in inglese riuscirono
finalmente a farla passare. Quel piccolo inconveniente sembrava averla resa
esausta.
Fu nella hall degli imbarchi che
capii che qualcosa non andava. Nonostante fossimo al piano terra si infilò
degli enormi occhiali da sole, si mise gli auricolari nelle orecchie e si
strinse nel suo cappottino rosso. Salimmo insieme sull’autobus che ci avrebbe
portato all’aereo e mi sedetti accanto a lei. Avevo la sensazione di essere
seduto accanto a un fantasma, di avere il vuoto al mio fianco. Quella ragazza
guardava fuori dal finestrino, del tutto incurante di ciò che le succedeva
intorno a lei. Mi misi ad osservarla: le nuvole si riflettevano sulle lenti dei
suoi occhiali da sole e, all’improvviso, come una goccia precipitata da una
nuvola, vidi una lacrima scivolare sulla sua guancia.
Sembrava di essere sul set di un
film drammatico: una bella ragazza che viaggiava da sola, in un orario inusuale
della Domenica, avvolta in un cappotto rosso e nascosta da un paio di occhiali
da sole, piangendo in silenzio.
Sul piccolo airbus che ci avrebbe
portati in Italia ero seduto due file dietro di lei. L’aereo era quasi vuoto e
potevo continuare ad osservarla tra le fessure dei sedili. Aprì un libro
scritto in italiano, ma non la vidi mai girare nemmeno una pagina. Tolse gli
occhiali da sole solo per ordinare educatamente un caffè e ringraziare
sorridendo la hostess.
Una volta atterrati in Italia fu
tutto così rapido che ancora oggi mi chiedo se fosse stato solo un sogno. Vidi
la ragazza riavvolgersi nel cappotto e chiudere la cerniera della sua borsa, la
vidi appena uscire dall’airbus sussurrando au
revoir alla hostess e poi scomparve. La cercai con lo sguardo nella hall degli
arrivi, nei corridoi dell’aeroporto e, infine, anche nel parcheggio, ma era
sparita. Era sparita lei, erano spariti il suo cappotto, i suoi occhiali da
sole e i suoi auricolari. Sono passati mesi da allora, sono cambiate tante
cose, ma ogni tanto ci ripenso e spero che, ammesso che fosse tutto vero, siano
sparite anche le sue lacrime.
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